Negli anni ’50, l’epidemia di tabacco si diffuse in tutta Italia, si viveva nell’ignoranza dei rischi per la salute, nonostante proprio a metà del decennio fossero stati condotti due studi fondamentali che evidenziavano il legame tra fumo di tabacco e cancro del polmone. Non esisteva una legislazione per proteggere i non fumatori che erano esposti al fumo di seconda mano, oltre che a casa, nelle aule scolastiche, negli ospedali, nei cinema, nei locali della pubblica amministrazione, praticamente dovunque. Nel 1964, fu pubblicato negli USA il rapporto del Surgeon General, il responsabile per la salute nel governo federale, attestante, con dovizia di prove, il rischio di cancro associato al fumo. In Italia era appena cominciato lo sforzo per dare al paese una legislazione che salvaguardasse la salute dei non fumatori.
Umberto Terracini
Nel 1962 Umberto Terracini, senatore del Partito Comunista, avanzò la proposta di proibire il fumo nei cinema e nei teatri ma la proposta cadde nel dimenticatoio tra sottovalutazione del rischio e preoccupazioni per le casse dello stato, cui i tabacchi contribuivano per oltre il 10 per cento.
Nel 1967 il Ministro della Sanità, Sergio Mariotti ammise la nocività del fumo, raccomandando l’uso di filtri, una raccomandazione che implicava la minore pericolosità delle sigarette col filtro, una cosa rivelatasi poi non vera.
Antonino Gullotti
Aumentarono però le preoccupazioni relative al fumo nelle scuole, sui treni, nei cinema e Gullotti, Ministro della Sanità del Governo Moro, riprese la proposta Terracini che divenne la Legge n. 584 dell’11 novembre 1975, “Divieto di fumare in determinati locali e sui mezzi di trasporto pubblico”. I locali erano le corsie degli ospedali, le aule scolastiche, le sale d’aspetto delle stazioni ferroviarie, le carrozze non fumatori dei treni, i vagoni letto. E poi: cinema, teatri, sale da ballo, musei e biblioteche.
Negli anni successivi, i giornali riporteranno più volte che questi divieti non erano rispettati anche perché la legge consentiva deroghe per i locali che avessero impianti di ventilazione a norma, una deroga che poteva favorire facili scappatoie.
Costante Degan
Nei primi anni ’80, Umberto Veronesi, allora già famoso oncologo dell’Istituto Tumori di Milano, Silvio Garattini e Carlo La Vecchia, combattivi ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano, appoggiati da giornali come L’Espresso, promossero una campagna informativa per rivelare che il fumo di tabacco era molto più nocivo di quanto comunemente si riteneva in Italia, e che provocava 80.000 morti all’anno. Essi proponevano di imporre un limite massimo di 12 mgr. al catrame prodotto dalla sigaretta e una tassazione proporzionale al contenuto di catrame. Il Ministro della Sanità Costante Degan (Governo Craxi 1983-1986) raccolse l’appello e, alla fine del 1985, propose un disegno di legge sul divieto di fumare in tutti i luoghi pubblici.
Ma la proposta non fu ben accolta: Craxi la ritenne tropo radicale e dello stesso parere erano diversi ministri del governo. Forse anche per questo Degan, un ex-fumatore che – per tragico destino – morì di cancro ai polmoni pochi anni dopo – non fu riconfermato nel nuovo Governo Craxi, sostituito da Donat Cattin. Questi si disinteressò dell’argomento affermando che “chi esce per strada … respira, con lo smog, il veleno di 50 sigarette e se ne fuma 20 per conto suo, pazienza!”.
Corte Costituzionale
Era stata interpellata relativamente al divieto di
fumo nella ipotesi che la legge fosse “discriminatoria” in quanto
vietava di fumare solo in alcuni ambienti, ad esempio le aule della scuola ma non
corridoi, scale, servizi, dove la salute dei lavoratori non era
sufficientemente tutelata (la salute è un bene primario, costituzionalmente
protetto).
Nel 1991, con Sentenza n.
202, la Consulta, nel dichiarare infondata la questione di
legittimità costituzionale, ha comunque precisato che, nonostante non esistesse
una specifica legge che vietasse di fumare in tutti i luoghi di lavoro, due norme
sono idonee a tutelare la salute dei lavoratori anche dal fumo passivo: l’art.
2043 del codice civile, in collegamento con l’art. 32 della Costituzione, che pone
il divieto primario e generale di danneggiare la salute altrui (neminen
laedere). Infine la Corte ha sollecitato il Legislatore “ad
apprestare una più incisiva e completa tutela della salute dei cittadini dai
danni cagionati dal fumo anche passivo, trattandosi di un bene fondamentale e
primario costituzionalmente garantito“.
Da questa sentenza in poi cominciano le difficoltà delle istituzioni che
dovrebbero decidere, ma è impedita dalla difficoltà a comporre punti di vista
divergenti ma anche e soprattutto da ostacoli disseminati dalla interferenza
dell’industria del tabacco e dei suo alleati.
Dopo la sentenza del 1991, si svilupparono pressioni da un movimento antifumo partito dal basso, da associazioni come Legambiente e Codacons, spinte da parte della stampa. Alcune amministrazioni locali (per esempio: Empoli, Firenze e Bologna, La Spezia, Ancona, Paternò) assunsero iniziative per il rispetto, innanzitutto, dei divieti di fumo vigenti nei cinema e teatri, ospedali e scuole e per estenderli. Ci furono anche iniziative private per tutelare dal fumo la salute dei non fumatori, ad esempio in alcune banche e al quotidiano La Stampa i lavoratori chiesero e in qualche caso ottennero di vietare il fumo sul luogo di lavoro. Invece l’atteggiamento dei Tribunali Amministrativi Regionali non fu univoco, ad esempio, fu contrario a Bologna, ma favorevole a Roma.
Francesco De Lorenzo
Nel 1992, il
Ministro della sanità Francesco De Lorenzo, del partito liberale, propose una
legge per un divieto di fumo completo in tutti gli ambienti degli ospedali,
scuole, università, esercizi pubblici, ma De Lorenzo fu coinvolto
nell’inchiesta Mani Pulite e la sua proposta non fu presa più in
considerazione.
Raffaele Costa
Nel 1994,il Ministro della Sanità Raffaele
Costa presentò una nuova proposta per l’estensione del divieto di fumo, ma il
Governo Berlusconi fu sfiduciato dal Parlamento e la proposta Costa si arenò.
TAR del Lazio
Nel 1995, a
seguito di un ricorso del Codacons e di Lega Ambiente, il TAR del Lazio emise
una sentenza in cui veniva indicato un termine di 30 giorni per l’introduzione
di un divieto di fumare nei luoghi di lavoro pubblici e privati.
Elio Guzzanti
Alla fine del 1995, su proposta del Prof. Guzzanti un Ministro della Sanità tecnico, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Lamberto Dini, emanò una direttiva per estendere il divieto di fumare nei “locali destinati al ricevimento del pubblico per l’erogazione di servizi pubblici e utilizzati dalla pubblica amministrazione, dalle aziende pubbliche e dai privati esercenti servizi pubblici della Pubblica Amministrazione e in altri luoghi aperti al pubblico”, lasciando indefinito l’ultimo punto: quali sono questi altri luoghi? Sono inclusi anche bar e ristoranti?
Il testo è interessante, perché lascia intendere che il Governo è costretto ad intervenire, dopo aver tentato di tutto per lasciare il compito al Parlamento. E in effetti, ci fu molta confusione nella applicazione o disapplicazione del divieto. Era forte l’esigenza di una normativa organica.
Umberto Veronesi
nel 2000, il Prof.
Veronesi che era un oncologo e paladino della lotta al fumo di tabacco, come
Ministro della sanità presentò una proposta di legge che estendeva il divieto
di fumare a tutti i luoghi chiusi, pubblici e privati, escluso gli ambienti
domestici. L’opposizione si era manifestata già nella discussione in ambito di
Consiglio dei Ministri, ma furono ovviamente più forti in Parlamento e
impedirono l’approvazione prima dello scadere della legislatura. Veronesi ne
rimase deluso, costatando che, riguardo alla tutela dei non fumatori, il Paese
reale era molto più avanti dei suoi rappresentanti politici.
Girolamo Sirchia
nel 2003, quello che non era riuscito a Umberto Veronesi, riuscì al Girolamo Sirchia, ministro della salute del secondo Governo Berlusconi. Anche in questo caso ci furono proteste all’interno del Consiglio dei Ministri e Sirchia dovette subire una prima sconfitta parlamentare, quando tentò di inserire il suo divieto di fumo nella legge finanziaria, ma si rifece poco dopo, introducendolo (articolo 51) nella Legge 16 gennaio 2003, n. 3 Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione.
Francesco Storace
Nel 2005, a seguito della crisi, nasce il Governo Berlusconi III in cui, nonostante il successo della legge sul fumo, il Prof. Sirchia non è riconfermato e al suo posto va Francesco Storace, il quale – egli stesso un fumatore – è assorbito dal tema della sicurezza e trascura quello del fumo passivo. Dopo una sentenza che mise in discussione il ruolo dei gestori di bar e ristoranti nel far rispettare i divieti di fumare, Storace ipotizzò di avviare un tavolo di dialogo con Confcommercio. Sirchia si rivolse all’opinione pubblica con una dichiarazione in cui giudicava disdicevole il comportamento del suo successore, lo invitava a difendere la salute e ricordava che Confcommercio, in quanto azionista di minoranza di British American Tobacco, era in pieno conflitto d’interesse. Le acque si placarono, ma il caso fece comprendere che la legge avrebbe dovuto camminare sulle sue gambe, senza una guida.
Beatrice Lorenzin
Dal 2013 al 2018 è stata particolarmente attenta alla tutela dei bambini dal fumo passivo. Riuscì ad estendere il divieto di fumare negli autoveicoli in cui fossero presenti minori o donne in gravidanza. Ed anche alle pertinenze esterne degli ospedali e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) pediatrici, nonché nelle pertinenze esterne dei singoli reparti pediatrici, ginecologici, di ostetricia e neonatologia.
Fonti:
– Carl Ipsen. FUMO, La storia d’amore tra gli italiani e la sigaretta. Capitolo 8. Marlboro light: l’era antifumo Ed. Le Monnier Università, Mondadori Education 2019 Firenze.
– Norme per la protezione dei non fumatori
– Scarica il pdf con l’elenco completo
– Repubblica: Fumo. Lite Sirchia Storace, dopo l’addio agli sceriffi.