Lo studio Miyara et al. Low incidence of daily active tobacco smoking in patients with symptomatic COVID-19 è stato utilizzato per una speculazione giornalistica

Di Anna Gilmore pubblicata su Qeios il 27 Aprile 2020

Questo studio presenta diversi problemi. Se si volesse comprendere il rischio di acquisire la malattia in fumatori e non fumatori, sono necessari disegni di studio più appropriati. E’ comprensibile he è difficile attuare, in questo momento, studi accurati. Tuttavia, è pericoloso che, sulla base delle deboli evidenze di questo studio, si traggano conclusioni così decise che differiscono sostanzialmente da quelle di altri studi già pubblicati, senza neppure dar conto dei limiti dello studio in questione.

  1. Molti dei casi sono operatori sanitari, un fatto che viene riconosciuto solo nella discussione. Gli operatori sanitari hanno più probabilità di contrarre l’infezione in ospedale piuttosto che nella comunità. Lo studio quindi può dire poco sull’acquisizione di COVID-19 in comunità.
    Inoltre, poiché gli operatori sanitari hanno bassi tassi di fumo e non possono fumare in ospedale, lo studio può dire ben poco proprio sull’argomento in esame, e cioè se il fumo influenza il rischio di COVID-19 nella popolazione.
  2. Le stime del tasso di fumatori correnti tra i pazienti con COVID, prodotte dallo studio, probabilmente sono artificiosamente basse per i seguenti motivi:
    • Molti dei casi riguardavano personale sanitario che presenta di solito tassi di fumo più bassi;
    • I casi più gravi (quelli ammessi in terapia intensiva) sono stati esclusi, mentre esistono prove che il fumo è associato a espressioni di COVID-19 di maggiore gravità.
    • Lo studio è stato condotto in un’area caratterizzata da tassi di fumo inferiori alla prevalenza media della Francia.
    • Lo stato di fumatore era autoriferito, essendo basato sulle risposte a un questionario, un metodo di accertamento che tende a sottostimare lo stato di fumatore a causa di un bias di desiderabilità sociale.
      Inoltre, il fatto che, durante una crisi sanitaria in cui i posti letti in ospedale e l’accesso alla terapia intensiva possono essere razionati in base al giudizio prognostico, potrebbe rappresentare un incentivo a dichiararsi ex-fumatore piuttosto che fumatore corrente.
  3. Mentre la percentuale degli attuali fumatori (34/482, il 7%) è inferiore rispetto a quella della popolazione francese (32%), lo studio ignora il fatto che la proporzione di ex fumatori (285/482, il 59%) è molto più alta di quella della popolazione generale (31%). E, la somma delle percentuali dei fumatori correnti e degli Ex fumatori è 66%, sostanzialmente in linea con la prevalenza della somma nella popolazione francese (63%). Ancora:
    • Gli autori non commentano questo risultato sorprendente. Anzi, mentre nella tabella dei risultati, omettono di calcolare la prevalenza di ex-fumatori e quella di mai fumatori, ed omettono di confrontare queste prevalenze con quelle della popolazione generale francese, trascurando così una significativa debolezza nello studio.
    • Considerando insieme la distorsione legata al fatto che lo stato di Ex-fumatore è auto-riferito e la coincidenza di un tasso di fumatori correnti inaspettatamente basso e uno inaspettatamente elevato di ex-fumatori, sembra inappropriato aver deciso di limitare il confronto con la prevalenza nella popolazione francese ai soli tassi di fumatori correnti.
  4. È noto che gli ex-fumatori, in particolare quelli che hanno smesso di recente, spesso fanno uso di nicotina. Tuttavia, lo studio non fa alcun tentativo di determinare se gli ex fumatori stiano usando nicotina. Data l’elevata percentuale di ex fumatori con COVID-19 dello studio, sembra del tutto inappropriato suggerire che la nicotina, o il fumo, sono protettivi riguardo all’infezione da COVID-19 senza prima ottenere queste informazioni. A ciò aggiungasi che questa ipotesi va contro quelle più ampiamente accettate (e per le quali vi sono probabilmente più prove) che fumare, o aver fumato in passato e l’uso di nicotina aumentino l’espressione dei recettori ACE-2 attraverso i quali il virus entra nelle cellule. In realtà uno studio ha rilevato che gli ex fumatori possono essere particolarmente suscettibili. È stato anche ipotizzato che la nicotina potrebbe aumentare il rischio di neuroinfezione.
    E’ prassi normale per gli autori discutere i risultati dissonanti dai propri, cosa che lo studio di Miyamara evita di fare.
  5. Rinunciando ad affrontare questi problemi, gli autori tendono a sopravvalutare i propri risultati (ad esempio le conclusioni affermano che lo studio “suggerisce fortemente che i fumatori hanno una probabilità molto più bassa di sviluppare un’infezione sintomatica o grave SARS-CoV-2”). Ciò ha indubbiamente contribuito al modo in cui questo studio è stato accolto dalla stampa.

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