dal blog di Girolamo Sirchia: Legge sul Fumo

La nostra strategia contro il fumo era complessa, ma le ragioni che ci hanno suggerito di affrontare per primo il fumo passivo sono state sostanzialmente due:

  1. alcuni sondaggi avevano rivelato che circa ¾ degli Italiani, compreso un buon numero di fumatori, erano e sono a favore del divieto di fumare nei locali pubblici chiusi e nei luoghi di lavoro, così da evitare che i non fumatori siano esposti al fumo passivo;
  2. si è ritenuto che il divieto di fumare nei locali pubblici chiusi e nei luoghi di lavoro potesse rafforzare azioni tese a prevenire l’iniziazione al fumo nei giovani e ad indurre i fumatori a smettere.

Strategia basata sul diritto costituzionale

Per superare le difficoltà legislative pensammo di attuare una strategia basata sul diritto costituzionale di tutti i cittadini ad avere uguali diritti e uguali doveri (art. 3 della Costituzione). In altri termini, decidemmo di portare in Parlamento il concetto, tradotto in norma di legge, che se era valido il diritto dei fumatori a continuare a fumare, era altrettanto valido il diritto dei non fumatori a non essere intossicati dal fumo di tabacco quando frequentassero locali pubblici o luoghi di lavoro.
In particolare, il principio si applicava ai lavoratori operanti nei locali pubblici che, a causa del fumo passivo, subivano un danno per molte ore al giorno (agganciando quindi il provvedimento anche alla 626).
In tal modo il Parlamento non avrebbe potuto accusare di proibizionismo il disegno di legge (infatti la vendita di tabacco e il relativo uso continuavano ad essere consentiti), ma non poteva non tenere conto della parità di diritti e doveri dei cittadini di fronte alla Costituzione. Per tutto il 2002 elaborammo questo pensiero e contemporaneamente effettuammo dei sondaggi nell’opinione pubblica, riscontrando che l’80% e più dei cittadini concordavano sul fatto di vietare il fumo nei locali pubblici.
Al termine del 2002, nel contesto del Collegato alla Finanziaria (che poi divenne Legge 16 gennaio 2003, N. 3, Articolo 51), iscrivemmo l’Articolo riportato nell’Allegato 1, accompagnando la nostra azione politica e legislativa con un’intensa campagna di promozione e di informazione.

Le azioni contrarie

Non appena si ebbe notizia della nostra intenzione, si scatenò una campagna promossa principalmente dalla Federazione Italiana Pubblici Esercizi (affiliata alla Confcommercio), che adombrava catastrofiche conseguenze per i locali pubblici in seguito all’eventuale approvazione di questa legge (perdita di lavoro e di denaro, disoccupazione, ecc.). Peraltro ben sapevamo dalla precedente esperienza irlandese e americana che la proibizione del fumo nei locali pubblici non solo non provocava una riduzione degli avventori, ma addirittura un aumento dovuto a coloro che, per disturbi dell’apparato cardiovascolare e respiratorio, si astenevano a frequentarli a causa del fumo di tabacco.

Va a questo punto notato che la Confcommercio era diventata azionista di minoranza della British American Tobacco Italia che aveva acquistato dal Ministero delle Finanze e del Tesoro gli ex Monopoli di Stato; questo spiegava, almeno in parte, l’acerrima campagna diretta e indiretta che la Confcommercio ha attuato contro il provvedimento. In via subalterna, la Confcommercio chiedeva incentivi per la realizzazione di locali per fumatori nei locali pubblici ed in ogni caso insisteva sulla proroga dell’entrata in vigore della legge, nascondendo in tal modo il desiderio di prorogare all’infinito, così da vanificare il provvedimento. Per venire incontro ad almeno una di queste richieste, il testo di legge ha previsto che l’entrata in vigore della legge avvenisse un anno dopo la sua pubblicazione.

Numerose furono le campagne di stampa ad opera di editorialisti anche di fama che, nel nome del contrasto allo Stato etico e, più in particolare, delle libertà civili, invocavano che il provvedimento venisse rigettato, ma così non fu ed esso venne approvato il 16 gennaio 2004. Subito a seguire venne redatto il Regolamento applicativo dell’Articolo 51, comma 2 della legge 16 gennaio 2003 (DPCM 23/12/2003 – Allegato 2), inteso a regolamentare le caratteristiche dei locali per non fumatori e la tipologia dei cartelli da esporre, in recepimento dell’Accordo stipulato il 24 luglio 2003 tra Stato, Regioni e Provincie Autonome di Trento e Bolzano.

I punti di forza della legge

  1. Ad eccezione delle case private e dei “locali per fumatori” è proibito in Italia fumare in tutti i locali chiusi, comprese scuole, ospedali, uffici della Pubblica Amministrazione, sugli autoveicoli di proprietà dello Stato o di Enti pubblici o di concessionari di servizi per il trasporto pubblico collettivo, taxi, auto di servizio delle Forze dell’Ordine e assimilate, metropolitane, treni, sale d’attesa di aeroporti, porti, stazioni ferroviarie e in tutti i sistemi di trasporto urbani, nelle biblioteche, nelle sale di lettura, nei musei, pinacoteche, bar, ristoranti, circoli privati, discoteche, palestre, sale-corse, sale-gioco, sale-bingo, sale video-game, cinema e teatri. Il divieto di fumo si applica anche ai luoghi di lavoro, agli uffici professionali e agli uffici destinati ad utenti interni, come ad esempio uffici di filiali di banche o uffici contabilità di una Società.
  2. Non esiste alcun obbligo per dipendenti e titolari di realizzare “locali per fumatori”. Riservare locali ai fumatori in negozi e luoghi di lavoro è opzionale. In tal caso comunque i locali devono conformarsi ai requisiti tecnici previsti dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 dicembre 2003. E’ chiaro che se il locale non è pienamente conforme alle norme del decreto, potrà essere usato solamente come locale dove è vietato fumare.
  3. La Legge n. 3 del 2003 non consente a negozi, servizi e luoghi di lavoro, sia pubblici che privati, di essere riservati unicamente a fumatori, anche se conformi alle norme previste dal decreto 23 dicembre 2003 (cioè dotati di appositi sistemi di ventilazione). Pertanto fumare è consentito unicamente in piccoli spazi di locali dove generalmente è vietato fumare, purchè tali spazi secondo quanto previsto dal paragrafo 1b dell’articolo 51 della Legge 3 del 2003 siano adeguatamente attrezzati ed identificati chiaramente come “riservati ai fumatori”. Nei luoghi di lavoro gli spazi ad hoc riservati ai fumatori si devono intendere come spazi dove è consentito fumare durante gli intervalli di lavoro e dove non venga svolta alcuna attività lavorativa.
  4. I locali per fumatori devono essere chiaramente contrassegnati come tali e completamente separati dai locali chiusi dove è proibito fumare. A tale scopo i “locali per fumatori” devono essere conformi ai requisiti stabiliti con il DPCM 23 dicembre 2003).

Dopo aver passato in rassegna gli effetti della legge, Sirchia tira le sue conclusioni

A seguito di queste considerazioni possiamo concludere che la Legge italiana a tutela della salute dei non fumatori ha avuto un ottimo grado di recepimento da parte della popolazione. I dati indicano che la popolazione ha non solo accolto la legge con favore, ma la fa anche rispettare. Inizialmente questi risultati non erano affatto scontati ed era arduo anche pensare che la legge potesse passare facilmente nel Governo e in Parlamento. Una ragione del successo è a mio avviso che la legge non è proibizionista; infatti è garantito il diritto dei fumatori a fumare. La novità è però costituita dal fatto che è garantito anche il diritto dei non fumatori a non subire i danni e i fastidi del fumo passivo. La parità dei diritti è alla base della Costituzione italiana e proprio il richiamo a questa uguaglianza dei cittadini ha fatto sì che la legge non potesse essere bloccata.
A ciò si aggiunga che i benefici per il personale che lavora in locali pubblici, ma anche privati, sono apparsi subito evidenti e oggi è comune sentire cittadini che dichiarano di poter frequentare locali che un tempo erano loro sgraditi per la nube di fumo che vi regnava. Altri cittadini riferiscono di sentirsi a disagio quando, all’estero, si trovano in Paesi dove è consentito fumare nei ristoranti e nei bar.

L’Italia è stata un laboratorio

un banco di prova per altri Paesi che, incoraggiati dai risultati positivi registrati, hanno replicato la legge di protezione dei non fumatori, a cominciare dalla Svezia, seguita dalla Spagna, dall’Inghilterra e dalla Francia. In Francia l’iniziativa è stata sottoposta all’Assemblea Nazionale dopo che il suo Presidente ha verificato personalmente in Italia il successo dell’iniziativa ed ha avuto con me un ampio scambio di vedute.
Sappiamo, tuttavia, che il calo di vendite di sigarette ha scatenato un’offensiva da parte dei produttori di sigarette che hanno un potere economico elevato e sono notevolmente abili nell’elaborare strategie atte a contrastare quelle promosse per il miglioramento della salute pubblica.
In effetti le multinazionali del tabacco non stanno perdendo tempo e continuano ad attuare iniziative promozionali più o meno palesi. In particolare, la loro azione è diretta ai giovanissimi per indurli ad iniziare il fumo e utilizzano allo scopo tutti i mezzi possibili di propaganda indiretta.
Purtroppo recentemente si è affievolita di molto l’azione che le Istituzioni dovrebbero intraprendere per promuovere una controinformazione al sottile veleno che viene continuamente immesso nei canali informativi e intensificando i controlli che, al contrario, continuano ad essere troppo limitati.
Oltre ai controlli si è peraltro fermata l’azione strategica di Governo che prevedeva una forte azione nei confronti dei giovanissimi per prevenire l’iniziazione al fumo, l’attivazione di una rete di servizi gratuita per i fumatori che desiderano smettere di fumare, una forte azione di contrasto della pubblicità occulta dei produttori che continua anche nel nostro Paese. Un recente lavoro indica che per la pubblicità del tabacco l’industria ha speso nel 2003 negli Stati Uniti 15,2 miliardi di $ contro i 5,7 miliardi di $ spesi nel ’97. La presenza di fumatori nei film (che sappiamo correlata direttamente alla quantità di fumatori nei giovani) è cresciuta dal 1990 al 2002, anno in cui si sono raggiunti i livelli del 1950.

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